Morte di Eros Riparelli, la Cassazione conferma le condanne: i genitori: “Dopo 15 anni giustizia è fatta, ma nostro figlio non tornerà più”

Primo Piano – «Ci sono voluti 15 anni, ma alla fine la famiglia del giovane Eros Riparelli, morto in un incidente causato da un dosso sulla strada, ha ottenuto giustizia. La nostra associazione, che difende i familiari e le vittime della strada, non può che esprimere soddisfazione».

A parlare è Alberto Pallotti, presidente dell’AIFVS, Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada Odv, all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato le condanne nei confronti del responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Castel d’Azzano, in provincia di Verona, e del realizzatore del dosso che provocò l’incidente.

Una tragedia terribile, che poteva essere evitata. Tutto accadde l’11 settembre del 2006. Quel giorno, Eros Riparelli stava ritornando al lavoro dopo una settimana di ferie. Lungo il percorso s’imbattè in un dosso rallentatore, progettato e realizzato mentre lui era in vacanza, alto esattamente il doppio rispetto a quanto previsto dalla legge.

«I lavori non erano ancora conclusi» ricordano i genitori di Eros, Giuseppe Riparelli e Susanna Alibardi, «e non erano nemmeno segnalati adeguatamente. Ciò ha causato la caduta e la morte immediata di nostro figlio. I responsabili cercarono di imputare le responsabilità dell’accaduto al nostro Eros».

«Le istituzioni hanno sostenuto dal primo momento che la colpa era da attribuire solo al ragazzo», conferma Pallotti, «ma questa tesi sostenuta dall’allora sindaco di Castel D’Azzano, Franco Bertaso, e dalla sua amministrazione comunale è stata respinta anche dai giudici di Roma».

L’AIFVS si è battuta per mobilitare l’opinione pubblica, organizzando una manifestazione e un presidio «al quale ho partecipato», continua Pallotti, «e dove sono stato identificato per manifestazione non autorizzata. In questi anni ho sentito tante affermazioni non vere e visto tentativi di sottrarsi alle proprie responsabilità da parte di chi aveva realizzato, dalla sera alla mattina, un dosso fuori da ogni norma, come è stato riconosciuto dalla Cassazione».

La famiglia di Eros Riparelli è stata difesa dall’avvocato Pietro Someda del foro di Padova, mentre «i politici e i funzionari del comune di Castel D’Azzano», dichiara papà Riparelli, «cercavano di nascondere la verità. Ho tentato di sensibilizzare anche le persone sull’uso criminale che viene fatto in tutti i comuni dei dossi rallentatori al 90% fuori norma, con la creazione del sito dossokiller.it. Fondamentale è stato il supporto dei miei amici, di mio figlio e l’aiuto di Pallotti, che ci hanno sostenuto fino a quando non abbiamo avuto giustizia, anche se Eros non ritornerà più. Il nostro dolore è troppo grande e lo strazio di una madre non credo possa avere paragoni».

La Corte d’Appello aveva condannato a un anno di reclusione il responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Castel d’Azzano e il realizzatore del dosso. I due hanno fatto ricorso in Cassazione, ma si sono visti rigettare il ricorso e riconfermare la condanna. Ora dovranno anche pagare le spese legali. «Sono soddisfatto per la sentenza», conclude Pallotti, «anche se è giunta dopo 15 anni dalla morte di Eros. Abbiamo rischiato la prescrizione. Oggi l’ex sindaco Bertaso dovrebbe chiedere scusa, insieme ai consiglieri comunali del tempo, per quello che hanno detto e fatto alla famiglia Riparelli, negando le loro responsabilità. Giustizia è stata fatta grazie alla determinazione di papà Riparelli che non ha mai mollato. Eros sarà molto orgoglioso di lui».